(MASSIMO POLIDORO –
2011)
PIEMME
Ho esitato prima di decidermi a comprare questo libro … un
libro sulla malattia mentale, sulla sofferenza, su un tema ancora oggi tanto
delicato … ma poi ho preso il coraggio a quattro mani e, alla fine, sono felice
di averlo fatto. Se non abbiamo il coraggio di aprire una finestra su mondi
lontani dal nostro, ma spesso più vicini di quel che crediamo, rimarremo sempre
al buio!
In pillole:
In pillole:
Questa è la storia di una donna, Mariuccia, che
si ritrova sola e con una figlia (e, nell’Italia degli anni ’60, non era
proprio cosa facile ….) e decide di fare domanda come infermiera all’ospedale
psichiatrico di Trieste.
Mariuccia però non è un’infermiera, fa la
magliaia ed è una madre che ha bisogno di mantenere se stessa e la propria
bambina … ma soprattutto è una donna coraggiosa, alla quale il nuovo lavoro
apre la porta su un mondo molto diverso da ciò che immaginava. Nell’ospedale
psichiatrico i “matti” non sono persone, sono “esseri” senza diritti, da
gestire in modo che rechino meno disturbo possibile.
Il lavoro degli infermieri è quindi mosto simile
a quello dei secondini in un carcere e i “matti” subiscono ogni genere di
trattamento inumano, (camere di isolamento al buio totale, elettroshock,
camicie di forza) senza che nessuno mai osi dire alcunché. La stessa Mariuccia ,
pur vedendo questa orrenda realtà parallela e ponendosi da subito delle domande
sul perché degli esseri umani debbano subire tanto orrore, non osa dire nulla
per timore della terribile caposala, la signora Pasin , dalla
quale dipendono tutte le decisioni, sia sulla vita dei pazienti che su quella
delle infermiere. Basta una parola di troppo per perdere il lavoro, e Mariuccia
non può permetterselo!
Si adatta a quella quotidianità assurda e
obbedisce agli ordini, proibendosi anche solo di pensare che i “matti” sono
persone con una storia, una vita, un’anima. Ma la storia di Mariuccia si
intreccia con quella di un’altra donna, una “matta” che, al suo ingresso
nell’ospedale psichiatrico era solo una ragazzina. Si chiama Marta ed è stata
ricoverata dopo aver dato in escandescenze a seguito di una sbronza. Marta ha
perso il padre e la madre in un incidente ed il cognato, dopo aver plagiato la
sorella, l’ha fatta internare sostenendo che lo shock per la perdita dei
genitori l’ha fatta impazzire e che è un pericolo per sé e per gli altri. La
verità è un’altra, il cognato di Marta vuole per sé l’azienda del suocero e la
presenza della ragazza, ribelle e non disposta a farsi plagiare come la
sorella, è un problema. Ma Marta è una “matta”, non ha diritti, nessuno
l’ascolta e scivola sempre più nel baratro dell’orrore.
La vita di
Mariuccia cambia con l’arrivo di un medico giovane e coraggioso, Franco
Basaglia,
che inizia a denunciare con forza i trattamenti a cui sono sottoposti i
pazienti psichiatrici e si impegna in prima persona per ottenere per loro un
nuovo mondo, un mondo in cui possano essere ascoltati e curati. Un mondo in cui, se
possibile, possano essere reinseriti. Mariuccia crede in Basaglia e trova in sé
la forza di seguirlo e di diventare una donna migliore, coraggiosa e
indipendente. Per lei arriva finalmente una nuova alba. E lo stesso vale per
tanti pazienti dell’ospedale, che iniziano finalmente ad essere “uomini e
donne”, non solo “matti”. Purtroppo, però, per alcuni, l’alba è arrivata troppo
tardi. E per Marta?
Temi: il libro affronta un tema veramente
difficile: la malattia mentale, le sue conseguenze
devastanti per il malato e anche per chi gli sta accanto. L’autore racconta della lotta di un uomo
che ha davvero cambiato il mondo della psichiatria ed il modo di concepire la
malattia e di vedere il malato. Si parla quindi di malattia e rispetto del malato, parla di umanità e disumanità degli operatori sanitari. Ma anche della condizione femminile alla fine degli anni
’60 e delle lotte delle donne per ritagliarsi la propria indipendenza ed il
diritto di scegliere. Attraverso le storie (tragiche ma anche di speranza) di Marta
e Mariuccia il lettore è portato a riflettere su questi temi.
Il libro parla del lavoro coraggioso di Basaglia e di come un uomo di grande
competenza e di profonda umanità, abbia saputo lottare per cambiare le cose.
Parla quindi di coraggio e di dedizione. Quello che, però (e
purtroppo) non viene affrontato è l’altro lato della medaglia, vale a dire il
rapporto tra i malati ed i familiari che devono prendersi cura di loro. Molti
dei matti di Basaglia sono riusciti a reinserirsi. Ma come
si affrontano i problemi di quelli che non ce la fanno? Chi aiuta coloro che se
ne devono occupare? Su questi aspetti, al termine della lettura, conviene forse
riflettere.
cit. Basaglia |
Leggilo
se:
- Non hai paura di una lettura
impegnativa e “forte”.
- Pensi che conoscere le cose orribili
che l’uomo ha saputo fare in passato è il miglior modo per far sì che non
si ripetano in futuro.
- Pensi che, in fondo, da vicino
nessuno è “normale”.
Non leggerlo se:
- hai paura di commuoverti.
- Vuoi sempre il lieto fine.
Veniamo
a noi: come
ci poniamo davanti alle disabilità (di qualunque tipo, fisiche e mentali)?
Siamo davvero così aperti a ciò che è diverso da noi? O abbiamo paura? E questa
paura è davvero così ingiustificata? I manicomi in Italia non esistono più e questo significa
che storie come quella di Marta, grazie a Dio, non potranno più ripetersi. Ma
la chiusura dei manicomi non ha portato con sé la creazione di una rete di
strutture e supporti per la gestione dei malati. Tutto grava sulle famiglie e
le cronache sono piene di episodi drammatici scaturiti proprio dall’abbandono
di coloro che hanno la disgrazia di un figlio, un fratello, un genitore che
soffre di disturbi mentali. Se era ingiusto e incivile trattare i “matti” come
animali, è giusto e degno di un paese civile
abbandonare a se stessi le famiglie che sono colpiti dalla disgrazia della malattia
mentale?
La Frase che mi piace: “E, come quel giorno, ogni mattina Marta si fa trovare sempre sotto il
portico, che piova o ci sia il sole. Lei è sempre là, che aspetta l’alba e
l’arrivo della sua amica Mariuccia”.
Recensito da ET
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